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PREMESSA

mano sulla boccaAssaggiare cibi nuovi nella mensa di una scuola è un intento educativo di cui spesso insegnanti e  personale si devono occupare. Ognuno lo fa utilizzando metodologie varie, strategie  dettate dall’esperienza e dalla sensibilità personale… a volte funziona il metodo della convinzione, altre quello del ricatto, altre quello dell’intimidazione… spesso bisogna arrendersi a vedere le verdure tornare sul carrello senza che i bambini ne abbiano sentito neppure il sapore, l’odore, sicuramente il colore lo avranno visto ma non sempre registrato… senza parlare del nome che non è conosciuto e ricordato, trattando così tali cibi come estranei e temuti!

MOTIVAZIONE DIDATTICA

Durante le  due ore settimanali di assistenza mensa che mi sono toccate in questo anno scolastico 2012/2013 appena concluso, anch’io ho avuto  momenti di intervento a favore dell’educazione alimentare dei miei alunni di classe prima. Come mi sono comportata? Sono partita a settembre abbinando il programma di scienze alla consumazione del pasto in mensa:

Obiettivi

–  Comprende, in base alle spiegazioni dell’insegnante, l’ambiente naturale circostante ( frutta, foglie, alberi… )

–  Descrive, attraverso l’esplorazione dell’ambiente, semplici caratteristiche fisiche di oggetti, piante, animali e/o parti di esse

ATTIVITÀ IN CLASSE

Nel nostro caso siamo partiti alla scoperta della frutta con osservazioni laboratoriali  in classe e …  allargando poi la stessa metodologia  di esplorazione con i cinque sensi ad altri alimenti  (per vedere esperienza in classe prima clicca QUI).

RIUTILIZZO IN MENSA

La metodologia della scoperta scientifica attraverso i sensi è così diventata una strategia per convincere i miei “piccoli scienziati” a utilizzare i sensi per conoscere gli alimenti a loro “estranei”,  e pian piano capirne le qualità e goderne i sapori.

e Daniel Pennac che c’entra?

Leggendo il suo libro “Storia di un corpo”,  sentite cosa scrive in una pagina di diario:

Insegno a Grégoire (nipotino di quasi sei anni)  a mangiare ciò che detesta. Nella fattispecie, l’indivia stufata che Bruno (padre di Grégoire)  si ostina a servirgli per “educargli il gusto”.  Ho quindi abituato Grégoire a interrogare pazientemente il gusto dell’ indivia stufata. In altri termini ad interessarsi a quella porcheria… per poterla mandar giù. Mangiarla assaporando veramente, cercando veramente di capire il gusto che ha. Vedrai, è interessante sapere perchè qualcosa non ci piace. … Pronti via?  Andiamo! Si comincia con un bocconcino piccolo piccolo, seguito da una minuziosa descrizione del sapore, nel caso specifico l’amaro che tanto ripugna alla maggior parte dei bambini. … Poi un secondo boccone, un po’ più consistente, per verificare la fondatezza della descrizione, e così di seguito (senza mai arrivare al grosso boccone con cui, pensando di abbreviare il supplizio, si provoca l’urto di vomito). Grégoire è venuto a capo del suo piatto con una soddisfazione tutta intellettuale. Sostiene che l’indivia ha il sapore di un chiodo arrugginito. Vada per il chiodo arrugginito, purchè il bambino mangi senza fiatare l’indivia anche continuando a trovarla schifosa.

Un sapore di chiodo arrugginito…

CONCLUSIONE

Quindi anche Pennac ci dà lo spunto di utilizzare i sensi, il gusto nello specifico, per fare “educazione alimentare”.

Noi insegnanti non dovremo per forza esigere la consumazione di una porzione eccessiva di tale incontro con le “indivie” di turno, è sufficiente che si facciano due o tre assaggi, e non meravigliatevi se a volte succede che i bambini trovino di loro gradimento l’alimento rifiutato  e ne richiedano un nuovo  assaggio!!!

CERTO CI VUOLE UN PO’ DI               pazienzamkio

ALLA… MENSA SCOLASTICA

Pubblicato: 3 ottobre 2010 da alicemate in SPAZIO MENSA
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Durante la scorsa estate ho provato a pensare a qualche idea da utilizzare nel momento della mensa di una scuola primaria, momento che nella mia scuola aveva iniziato i primi passi… poi non ho più pubblicato… Ora la scuola è ripartita, vedo che in molti visitano il blog, forse leggono,  scaricano e forse utilizzano qualcosa, forse prendono spunto, migliorano, adeguano… quindi  perchè non pubblicare????…. a voi…

…. Se io “dovessi” prestare servizio in una mensa scolastica … o se “dovessi” iscrivere i miei figli ad una scuola a tempo pieno…. (questo solo per riuscire a immedesimarmi al meglio)

Come “vorrei” la mensa di questa scuola? (perdonate i tempi dell’irrealtà)

tenendo fermi alcuni punti concreti:

  • è la mensa di una “scuola”, dove ci si si occupa di formazione
  • è un momento educativo, non un banchetto
  • gli insegnanti presenti stanno lavorando, la mensa è parte del loro orario di servizio effettivo, quindi sarà necessario che tale momento sia strutturato nel rispetto di un preciso programma di attività formativa

Gli addetti all’organizzazione e alla consumazione educativa dei pasti dovrebbero dedicare attenzione a tutto ciò che concerne l’alimentazione, a spazi, tempi e relazioni ad essa collegati.

Le modalità per far ciò sono sicuramente molte, io provo a delinearne alcune.

Si potrebbero stabilire dei  temi attinenti al pranzo che attirino l’attenzione dei commensali, stimolino l’interesse a questo momento conviviale e/o ne inneschino altri.

Argomenti possibili:

– L’apparecchiatura della tavola: “attaccare, indagare” l’argomento tramite le varie discipline scolastiche o altro. L’apparecchiatura e la  matematica: la forma delle stoviglie, dei tavoli, la quantità di piatti, bicchieri o posate sulla nostra tavola o su quella di un banchetto matrimoniale … l’apparecchiatura nella storia, nel mondo; con la lingua italiana, ( nomenclatura e  letteratura…), l’apparecchiatura nell’arte (attraverso quadri e colori), utilizzando nomenclatura in altre lingue;  scienze e tecnologia ( corretto uso di attrezzature per sminuzzare, sorseggiare, come e quando, perché utilizzarle a favore di una corretta alimentazione).

….e per il  nostro futuro…  eco-sosteniamoci!! (attivare comportamenti e utilizzo di materiali che  siano  in armonia con il rispetto e la valorizzazione dell’ambientenaturale)

Lo stesso percorso più essere attivato con altri numerosi “soggetti da mensa”: l’igiene a tavola, il pane, l’acqua, la verdura, la frutta, … L’argomento/tema può essere ogni alimento che riteniamo opportuno approfondire o far conoscere e …assaggiare!!

Buona fortuna!!

Ma in che modo si possono affrontare gli argomenti?

I ragazzi stanno mangiando.

Gli operatori devono servire, vigilare, aiutare  e dare l’esempio mangiando….!?!

… tutto da inventare, provando e aggiustando…

Per esempio iniziando a mettere un cartello con il titolo dell’argomento, questo serve già a visualizzare e attirare l’attenzione, poi…in alcuni momenti di attesa … lanciare un quesito, leggere un indovinello, una filastrocca, il titolo di una favola ….inerente all’argomento e … forse i ragazzi si animano di curiosità, dimenticando anche la presenza nel piatto di alcuni cibi non graditi … beh non so, io nella mia mensa ci proverei!!

Poi si possono preparare cartelloni/puzzles da comporre, un pezzo ciascuno al termine di ogni portata … cestini con cartellini di nomi da “pescare”, leggere, collocare correttamente…

Chi prepara le attività?

Ognuno di noi è “grande” in qualcosa, quindi fa meno fatica ad essere divertente, perché il gioco, il divertimento non è facile da attivare, bisogna essere preparati… Allora: chi conosce meglio l’italiano può sbizzarrirsi usando la sua competenza anche nelle ore di mensa!! Chi lo è in cucina con ricettari, chi legge trovando letture…

Alcuni esempi…

– L’uso delle parole ha un preciso significato, nasconde metafore simpatiche che si possono presentare sotto forma di indovinelli , rebus, cruciverba, acronimi, possiamo formare audaci ossimori, sorprendenti sinestesie, e divertenti ipallagi…

– L’uso della misura del tempo con clessidre, cronometri, orologi per calcolare i nostri tempi “per finire i le carote”, i tempi di attesa, di silenzio… ; le bilance per pesare gli alimenti; le frazioni per mangiare una metà o due metà o tre metà, ma mai una mela intera?? …

Metto il link per un sito interattivo sull’educazione alimentare dove attingere idee e … dare le nostre!!

GIOCHI AL “DOPOMENSA”

Pubblicato: 9 luglio 2010 da alicemate in IL TEMPO PER GIOCARE
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…. alcuni suggerimenti per organizzare il tempo tra la mensa e le attività più espressamente didattiche.

GIOCHI PER IL DOPOMENSA

Io penso che possa essere utile creare angoli gioco perché i bambini di classe 1^ e 2^ della scuola primaria (6,7,8 anni) possano organizzarsi liberamente nel momento successivo al pasto delle 12,30 con modalità che richiamano  giochi conosciuti, come fossero nella loro cameretta, nel loro cortile, con i fratelli o cugini:

GIOCO DEI RUOLI

– “angolo della casa” con alcuni bambolotti, pentolini, fornellino (inizialmente scatola di scarpe rovesciata con disegnati i fuochi), lettini per bambole (anche solo scatole con copertine fatte da mamme o insegnanti), travestimenti per fare la mamma e il papà (in particolare cappelli, foulards, sciarpe, vecchie cravatte, borsette, borsellini e grucce o appendiabiti per riordinare…

– “angolo del garage” per l’utilizzo di materiali più da lavoro come legni, banco falegname, cassetta meccanico…

GIOCHI SU TAPPETI

– si possono utilizzare tappeti già disegnati con strade e città, ne vendono di carini e facilmente lavabili, su cui costruire e creare azioni con modellini di macchinine, animali, soldatini …

ANGOLO DELLE COSTRUZIONI

– con materiali a incastro di vari tipi, buoni quelli  della Lego, ma costosi, si può iniziare con pochi alla volta ma di lunga durata.

ANGOLO DEI GIOCHI DA TAVOLO

– giochi in scatola come  puzzle, memory, gioco dell’oca, dama, scacchi, domini, scarabeo,   impiccato, battaglia navale,

– carte da gioco.

NOTE:

– ci sono giochi interessanti, ( monopoli, risico, ) che richiedono tempi molto lunghi, è da valutare se è il caso di metterli a disposizione, potrebbero lasciare sempre la partita sospesa e i giocatori insoddisfatti…

– non diamo per scontato che i bambini  conoscano questi giochi tradizionali, quindi prima di lasciarli usare “liberamente”, insegnamo loro  l’uso tradizionale, se poi vorranno trovarne altri, creativi  ma civili saranno accettati e … ricopiati.

ANGOLO DELL’ARTISTA

– con cavalletto, fogli, cartoncini di recupero e non, di diverse misure, gessi, colori, pennelli, pastelli, pennarelli…

e ancora… forbicine, colla, pizzi, tulle, riviste da ritagliare….

ANGOLO DELLA BIBLIOTECA

– con giornaletti, libri  illustrati, libri di veloce lettura…

ANGOLO DELLA BOTTEGA

– con scatole vuote di tutti i prodotti facilmente reperibili, monete…

E ALLA FINE GIOCHIAMO A RIMETTERE TUTTO  IN ORDINE …. con gare e premi inizialmente…   per scoprire poi il piacere di ritrovare tutto in ordine per il gioco successivo!!

IL GIOCO INDIVIDUALE PERDUTO

Pochi giorni fa, una giovane psicologa che ha concluso un periodo di tirocinio presso una struttura ospedaliera di Milano e ha avuto occasione di  incontrare  bambini in età di  scuola primaria , mi raccontava con tristezza che i bambini non hanno più esperienza di gioco libero individuale perchè il loro tempo giornaliero è interamente occupato e organizzato.

Questa attività di gioco che un bambino “si inventa”  è importante per ricreare esperienze, emozioni e grazie a questa contrastare e superare difficoltà incontrate oppure vivere con la fantasia sogni e desideri che la vità di ogni giorno non può soddisfare.

Queste sono esperienze importanti  nella crescita di ognuno e penso che la maggior parte di noi abbia potuto sperimentarle durante l’ infanzia.

Concludendo:

– La nostra società moderna non lascia più il tempo per il gioco  individuale ?

– Forse capita solo nelle grandi città?

– Forse solo a certi bambini che poi hanno più bisogno di un aiuto dello psicologo?

Questa non vuole essere una provocazione ma una riflessione a prestare attenzione  ai bisogni dei bambini … per trovare spazi e tempi adeguati  ai loro giochi  liberi individuali o di gruppo.

Proprio ieri   ho visto un  angolo-gioco estivo allestito in un piccolo cortile privato: piscinetta con acqua al sole abbinata a  casetta-gioco,  il tutto gestito con gioia da due cuginetti di 8 e 9 anni: è stato una gioia vederli organizzare la loro “casa delle vacanze”.

Di spazi per il gioco  se ne possono inventare tanti .. raccontatecene alcuni che conoscete e sapete che funzionano … in casa, all’aperto, a scuola, in montagna…

Le idee si possono copiare e i giochi moltiplicare!!!

MENSA…CHI CI SMENA?

Pubblicato: 21 giugno 2010 da lameladiodessa in SPAZIO MENSA
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Cos’è la mensa per i bambini? E’ tortura? E’ non poter mangiare quello che si vuole? E’ solo “alzare la voce”? E’ sentirsi ogni giorno obbligati a pranzare con persone antipatiche? Oppure è un’altra occasione per imparare a stare insieme? Un’occasione per imparare a mangiare con forchetta e coltello? Un’occasione per imparare ad assaggiare tutto (se va male sputo…)?

Cos’è la mensa per i docenti? E’ fatica? E’ una costrizione? E’ svilimento della propria professione? Oppure è un’occasione per mettere in pratica, ad esempio, i progetti asl per una corretta alimentazione? Un’occasione per PRATICARE BUONE PRATICHE d’insegnamento e di relazione? Un’occasione per inventare…?

Francesco De Bartolomeis
Rinnovare il sistema formativo

Il testo è l’elaborazione ulteriore di un saggio già compreso negli atti del 2° Convegno Cesp sul Tempo Pieno.

Il tempo pieno per ricerche e per sviluppi di rapporti interpersonali

La centralità della ricerca a scuola, nei laboratori, in strutture fuori della scuola portano necessariamente al tempo pieno. Non un tempo pieno che si configuri come prolungamento al pomeriggio dello strazio del mattino, cioè spiegazioni frontali, immobilità al posto di ascolto, assenza di rapporti e di comunicazione tra gli allievi, nessuna traccia di lavoro su problemi con i mezzi della ricerca.
È difendibile soltanto un tempo pieno come modello di rinnovamento che collochi il sistema formativo nella città che educa. Un modello da generalizzare che ha necessità di espandersi all’esterno per incontrare con modalità collaborative, con piani e strumenti di ricerca istituzioni, beni culturali e ambientali, servizi.
Sul tempo pieno si doveva fare un deciso passo avanti e invece al suo posto un surrogato che si fonda su una opzionalità illegittima. Le condizioni che rendono possibili un nuovo modello formativo portano a una inevitabile conclusione: il tempo pieno deve essere obbligatorio. All’estensione temporale si lega l’estensione spaziale delle attività: non solo aule e laboratori, ma luoghi esterni di varia natura per sviluppare ricerche sul campo.
Lo stare a scuola e svolgere attività di apprendimento sono cose diverse, e nella maggioranza dei casi la seconda manca. L’apprendere sicuramente richiede tra l’altro un tempo più lungo di quello dedicato alla sciagurata diade spiegazione-interrogazione che rimanda a casa l’apprendimento inevitabilmente di tipo tradizionale. Un tempo più lungo per fare ricerche, discutere, lavorare in gruppo, adoperare strumenti tecnologici, dedicarsi ad attività produttive, uscire dalla scuola per raggiungere realtà esterne da conoscere, documentare ecc. Per stabilire la durata del tempo scolastico occorrono idee chiare sulle cose da fare e su come farle. Risulta che il tempo pieno è necessario per l’apprendere e il produrre.
Il tempo pieno non è un limitato problema di organizzazione didattica; è una scelta sociale con strumenti capaci di agire, tra l’altro, sugli svantaggi e dare un senso nuovo al proseguimento degli studi e all’approdo professionale. Non meno centrale, per il decondizionamento precoce, è la cura del periodo 0-6 anni.
Il tempo pieno che usi mezzi e competenze per dare alla funzione formativa funzione sociale fa mutare la condizione culturale di persone svantaggiate, influisce su come vivono il presente e sulle loro prospettive per il futuro. Non basta una nuova didattica. È decisiva una nuova collocazione del sistema formativo nella organizzazione sociale e politica.
Alcune ragioni a sostegno di un tempo pieno come modello di una istituzione formativa nuova:

  • Il tempo pieno prima di essere una particolare invenzione didattica, frutto della pedagogia progressista, è nella vita di un allievo ordinario. Voglio dire: se a scuola non c’è il tempo pieno, sommando quello che l’allievo fa a scuola e quello che è costretto a fare a casa (i compiti) ne risulta un impegno orario che supera il tempo pieno. Quello che non si fa a scuola con la necessaria assistenza dell’insegnante (le varie attività di apprendimento) si fa a casa, di solito senza un aiuto, con interferenza grave a danno di altri interessi e di altre attività. Il tempo a casa viene invaso con contraddizioni e disagi. Proprio il tempo pieno può liberare tempo a favore di interessi e di attività che non riguardano la scuola e sono essenziali anche ai fini dello sviluppo culturale. In assenza di tempo pieno, acquistano un ruolo pesante i compiti a casa. Ma quanti studenti trovano a casa genitori disponibili e capaci di aiutarli e di controllarli?
  • Ristrutturazione del curricolo e conseguente distribuzione delle attività secondo tempi e successioni non artificiosi. Se si pratica la ricerca, se si entra in rapporto con realtà esterne, tempi e successione delle attività non possono essere scandite in base a una fissa unità oraria.
  • Necessità di combattere la tecnica del differire che nega alla scuola la funzione di luogo dove si apprendono conoscenze e abilità, ossia bisogna saldare insegnamento, apprendimento e valutazione. Quattro i collegamenti necessari del tempo pieno: ricerca, laboratori, espansione su realtà esterne, nuove tecnologie. Sono condizioni dell’apprendimento.
  • La specializzazione degli insegnanti già a livello di scuola dell’infanzia e di scuola primaria rafforza la diversificazione. La specializzazione di competenze e di attività professionali in ambito formativo favorisce anche la mobilità professionale, la possibilità di assumere compiti diversi dall’insegnamento all’interno del sistema formativo.
  • La tipologia e la qualità delle attività di tempo libero hanno una forte influenza nel caratterizzare i modi di vita. L’assenza del tempo pieno o il suo basso livello qualitativo è motivo di inquinamento del tempo libero, perché fa interferire con effetti di disturbo attività legate alla scuola con altre attività non meno necessarie. Quindi diversificazione educativa fuori della scuola e indipendente dalla scuola.
  • Non è un sovrappiù il rapporto con la bellezza. Quella che si incontra non solo nei musei ma anche nella vita ordinaria, nell’ambiente. Bellezza naturale, semplice, economica. La bellezza e la poesia nel senso più generale.
  • Particolare attenzione per quella che si chiamava cultura materiale, ma che ora si presenta, con fondata ambizione, come sociologia delle civiltà complesse. Le civiltà sono sempre complesse, e perciò per quanto l’attenzione sia localistica è inevitabile fare uscire la ricerca dai limiti del sistema considerato perché è collegato a sistemi progressivamente più ampi.
    Se si attivano ricerche, anche nei piccoli centri si incontrano importanti fatti storici che tolgono il piccolo dall’isolamento e lo collegano alla storia senza aggettivi. Una pieve, un castello, le abitazioni, le strade di comunicazione, le attività produttive offrono l’occasione di ampliare e di approfondire l’indagine. Ciò che definiamo “locale” ha sempre rapporti con eventi storici e attuali di aree molto vaste, ed è compenetrato dalle nuove tecnologie di informazione.
  • Non solo conoscenza ma attività di produzione. Con la produzione, nei laboratori scolastici e territoriali, la conoscenza si approfondisce, può scendere nei particolari, comprendere relazioni di parti e struttura dell’insieme. È necessaria l’interdisciplinarità. Le attività conoscitive e produttive riguardanti l’utilizzazione delle opportunità della “città educativa” devono essere previste dalla programmazione e dall’organizzazione come dettagliata offerta educativa.
    Le metodologie di ricerca hanno diversa fisionomia a seconda del settore a cui si applicano. Prima di essere metodo, la ricerca è modalità dell’apprendere e del produrre. La ricerca in relazione alle particolarità dei settori richiede la collaborazione programmata di esperti diversi dagli insegnanti di sezioni e di classi.
  • Il lavoro come attività produttiva e come studio del ruolo che ha nei mutamenti sociali. Quindi lavoro come tecnologia e cultura sociale e storica.
  • I propositi di innovazione, se organizzati in progetti, non hanno niente a che fare con la programmazione rituale. Da prevedere che gli insegnanti agiscano come gruppo e collaborino sia con professionisti della formazione con compiti non di insegnamento sia con esperti esterni. Mediante l’utilizzazione normale, ossia continuativa e sistematica di esperti esterni la scuola ha la possibilità di affacciarsi sulla innovazione culturale e di esserne stimolata.
  • Modalità di aggiornamento in rapporto a progetti di innovazione. Si è motivati nell’aggiornamento se serve ad acquisire conoscenze e abilità che anzitutto danno la sicurezza di essere migliori come persone e se ci sono le condizioni per servirsi di ciò che si è appreso per apportare mutamenti innovativi nel proprio lavoro che così si arricchisce di motivi gratificanti.
  • Il tempo pieno offre concrete opportunità per sviluppare programmi di recupero necessari per trattare ritardi culturali, difficoltà a collaborare, a inserirsi nel ritmo medio della classe. Niente che rassomigli al dopo scuola o a lezioni private. La dimensione dovrebbe essere quella del piccolo gruppo. Quando fu proposto il recupero ci fu una sollevazione generale. Le solite ottuse obiezioni: serie A e serie B, discriminazione e simili. In verità si volle sfuggire al compito di inventare il recupero. Non esiste un kit bello e pronto: bisogna prepararsi, mette a punto idee, sperimentare, perfezionare.
  • Uso di nuove tecnologie. Dalle macchine fotografiche e dalle videocamere digitali al computer e a una grande varietà di programmi informatici (Power Point, Pinnacle, Publisher, Photoshop ecc.). Le tecnologie devono contribuire a unificare insegnamento, apprendimento, valutazione
  • Documentazione multimediale in entrata e in uscita (libri, internet, video, cd) per progettare, svolgere attività, verificare.
  • Piani di educazione permanente hanno bisogno di basarsi sulla buona qualità del sistema formativo. Non provo neppure a elencare i principali problemi che impegnano il tempo di vita nella formazione fino a 22-24 anni. Dai problemi delle città sostenibili delle bambine e dei bambini si prosegue fino a incontrare l’orientamento scolastico e professionale, la cultura del lavoro, il disagio giovanile, la droga, alcol, fumo, dissipazione di potenzialità e conformismo (in non pochi casi dissipazione della vita), difficoltà di rapporto degli adulti con i giovani. La formazione permanente va al di là di compiti specificamente professionali.