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Il 13 febbraio scrivevo nel mio gruppo facebook: “Scuola primaria con innovazione”:

Arrivato il libro di Camillo e per me è suonata la campanella!
Ricordo anch’io il mio primo giorno di classe 1^: solo tanti tanti bambini e i pavimenti di legno che facevano tanto tanto rumore, con tutti quei bambini sopra. (Quantità “tanto” percepita con scarso piacere!)
Voi ricordate il vostro primo giorno di scuola?

 

 

Il 15 febbraio aggiungevo: Ho terminato la “Lettera a un bambino che ha paura della matematica” di Camillo Bortolato. Vi dico due cose all’indirizzo del bimbo di 6 anni, quello che andrà in classe 1^. Anzi ho fatto una sintesi montando un’immagine di un video, sempre del maestro Camillo.

(cliccare sulle immagini per ingrandire e leggere)

Poche ore dopo aggiungevo: e al bambino che andrà in classe 2^, la lettera del maestro Camillo parla delle operazioni in colonna o calcolo scritto, gli algoritmi. Cosa dice a questo bimbo di 7 anni? (ancora in un’ immagine):
“I bambini dunque si prenderanno la calcolatrice e faranno tutti i problemi della primaria, fregandosene dei programmi. Perchè dove c’è intelligenza non ci sono limiti alla comprensione.”

Quindi penso al Disfaproblemi con la calcolatrice e pubblico alcuni problemi per mostrare esempi e stimolare alla riflessione.
(cliccare sempre sulle immagini per ingrandire e far scorrere)

Ci sono stati diversi interventi di insegnanti che fanno capire che l’uso della calcolatrice alla scuola primaria è ancora un po’ lontano dall’essere praticato, nonostante le Indicazioni Nazionali ne consiglino l’utilizzo già dalle prime classi.

Quindi suggerisco:

Si possono fare gli stessi problemi (del Disfaproblemi) anche senza calcolatrice, usando il calcolo a mente, scrivendo i risultati parziali per non perderli, ma anche scrivendo le operazioni sul blocchetto o sul quaderno. Oppure farli insieme alla lavagna (chi avesse la LIM mette tutta l’immagine scansionata), si possono fare insieme e discutere le diverse proposte. Volendo potrebbe essere la sola insegnante ad utilizzare la calcolatrice, come esempio di possibile controllo.

Un altro problema rilevato è nella presenza sia dei suggerimenti della formichina che dei risultati per il controllo autonomo. Si dice che questi aiuti potrebbero favorire troppo, demotivando il ragionamento autonomo… quindi aggiungo:

La scuola è insegnamento innanzitutto, fatta di tanto lavoro con la guida, lo stimolo, con esempi, suggerimenti… Tutto questo, se si ha un buon strumento con cui esercitarsi, diventa anche un percorso autonomo. E ogni alunno è interessato a fare sempre meglio e fare senza utilizzare il suggerimento, e senza nemmeno guardare ai risultati. Quando l’apprendimento non è fatto di valutazione non si trasforma in cercare i risultati, ma nella soddisfazione di farcela! È un continuo mettersi alla prova per imparare. Chi non entra in questa ottica, pensa solo a fregare l’insegnante, a truccare, a falsare… anche questo cambio di finalità fa parte di un insegnamento attivo e creativo.

L’altezza delle 4 case: un problema che ha suscitato molto interesse perchè se non si presta attenzione fa sbagliare anche gli insegnanti, e proprio questo è stato da stimolo e riflessione su come sia efficace anche l’errore, il confronto e la discussione intorno ai lavori matematici.

In seguito ho pubblicato il problema Le tre strade di cui si conoscono le differenze di lunghezza, l’ho proposto prima trasformato in testo scritto, poi con l’immagine: è piaciuto e si è scoperto che si può utilizzare la procedura appresa del problema precedente, e che senza mettere i dati nel disegno è più facile sbagliare:

Bello anche l’utilizzo degli euro in moltissimi problemi e disfaproblemi di Bortolato. I bambini, già in 1^ e 2^ cominciano a vedere i decimali, a leggerli come si fa in casa ed è subito analogia anche l’uso della virgola… certo, pian piano diventerà più “matematico”, ma intanto si comincia.

Ecco due “bilance” per i bambini di 7 anni, per risolvere in modo intuitivo le proporzioni:

Concludo questa riflessione con lo sguardo alla montagna della conoscenza, questo è il modo più chiaro per ricordarci sempre come si apprende: sempre attraverso le cose che poi diventano parole e infine simboli, strumenti sempre più complessi ma efficaci e risolutivi, se si sanno utilizzare!

Scrivendo al nostro bambino, Camillo disegna infatti una montagna per presentare il calcolo scritto e una per i problemi:

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Bibliografia:

Lettera a un bambino che ha paura della matematica, Camillo Bortolato, Erickson

Disfaproblemi con la calcolatrice (99 esercizi per liberare l’intelligenza dei bambini), Camillo Bortolato, Erickson

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Scritto e pubblicato da

Alicemate-maestra Maria Valenti

Per vedere la presentazione dell’Unità di Apprendimento progettata su ipotetica classe e anno ancora da venire durante il corso di aggiornamento “Scuola dei nativi digitali”

pagina presentazione

cliccare QUI e aspettare che si carichi bene la pagina di presentazione su “Prezi” dove navigare

(indicazioni per l'uso di Prezi)

– cliccando sul quadro parte  la musica, utilizzare le frecce in basso per andare sia avanti che indietro

– potete avvicinare, ingrandire, spostare gli oggetti … (a destra l’icona per tornare sempre alla home della presentazione)

– quando appare il quadro nero del video dovete farlo partire, e procedere poi ancora con le frecce in basso per scorrere le immagini successive che riprendono e rileggono il video secondo il vostro bisogno

– attenzione all’ultima slide che presenta dei link: digitando su questi troverete pagine di giochi, da qui tornerete alla presentazione chiudendo la pagina gioco

– al termine freccia di navigazione per tornare qui.

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Informazioni, approfondimenti e riflessioni sul percorso fatto si trovano nei due post precedenti:

“Scuola dei nativi digitali”

“Condividere per innovare”

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Momenti di attività del gruppo:

1) creazione di un ambiente di condivisione on line su googlegroups, il nostro “donchisciotte….”

2) aggiornamento on line sui lavori in classe e condivisione di riflessioni e progettazioni personali da casa (con la possibile super visione del docente).

Alcuni documenti condivisi dal gruppo nei pdf:

Gruppo nativi digitali

Obiettivi Italiano da IN

U.A. – La potenza delle parolecorso-(La scuola dei nativi digitali)

Giochi di parole

Autori e libri citati:

testi utili di Aldo Palazzeschi, Fosco Maraini, Toti Scialoja, Roberto Piumini, Balzaretti, Molesini, Koch, Tanzi

R.V. Merletti “Leggere ad alta voce”

Ersilia Zamponi “I draghi locopei”

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Considerazioni personali

L’esperienza è stata da stimolo ad aggiornamenti e utilizzo di nuove pratiche didattiche per innovare la scuola, a favore dei nostri alunni nati in un mondo”digitalizzato”.

I tempi in presenza avrebbero potuto essere sfruttati meglio per permettere agli insegnanti frequentanti  di  mettersi maggiormente in gioco sulle metodologie cooperative, indispensabili ad attuare la scuola  presentata.

Ringraziamenti

Il gruppo ringrazia il collega Giacomo per la disponibilità e le competenze nella didattica innovativa e nell’utilizzo delle nuove tecnologie.

Si ringraziano i Docenti del corso e gli Enti che hanno promosso questo aggiornamento per rispondere all’esigenza educativa di rivedere alcuni modelli didattici e comunicativi conseguentemente all’uso di nuovi strumenti tecnologici:

La Fondazione Gruppo Credito Valtellinese e l’Ufficio Scolastico Provinciale.

 

Pubblicazione curata dagli ins. Giacomo Mottarella e Maria Valenti

“E’ terminato il  2011, che ricorderemo come l’ultimo anno  in cui si poteva andare in pensione ancora da vivi “ (da Popinga)  

La WordPress ha preparato un resoconto annuale del lavoro fatto nel blog nel corso del 2011

Per ogni articolo pubblicato apparirà la data e partirà un fuoco d’artificio

poi fate scorrere per continuare a leggere e

troverete statistiche, conteggi, percentuali… vedrete il numero di visitatori, scoprirete l’articolo più commentato, quelli  più visti, i visitatori dal mondo, chi ha commentato…

Click here to see the complete report.

clicca qui per vedere il resoconto completo

CIAO A TUTTI E…  BUON 2012 !!!

AVVISO AI NAVIGANTI

gli autori gradirebbero avere il parere dei colleghi che leggono e si trovano in accordo o disaccordo e …  magari utilizzano giochi e lavori/laboratori con i loro alunni e trovano suggerimenti o richieste di chiarimenti o imprecazioni per la non riuscita di quanto proposto….

Vi aspettiamo sui commenti allora e grazie !

IL GIOCO INDIVIDUALE PERDUTO

Pochi giorni fa, una giovane psicologa che ha concluso un periodo di tirocinio presso una struttura ospedaliera di Milano e ha avuto occasione di  incontrare  bambini in età di  scuola primaria , mi raccontava con tristezza che i bambini non hanno più esperienza di gioco libero individuale perchè il loro tempo giornaliero è interamente occupato e organizzato.

Questa attività di gioco che un bambino “si inventa”  è importante per ricreare esperienze, emozioni e grazie a questa contrastare e superare difficoltà incontrate oppure vivere con la fantasia sogni e desideri che la vità di ogni giorno non può soddisfare.

Queste sono esperienze importanti  nella crescita di ognuno e penso che la maggior parte di noi abbia potuto sperimentarle durante l’ infanzia.

Concludendo:

– La nostra società moderna non lascia più il tempo per il gioco  individuale ?

– Forse capita solo nelle grandi città?

– Forse solo a certi bambini che poi hanno più bisogno di un aiuto dello psicologo?

Questa non vuole essere una provocazione ma una riflessione a prestare attenzione  ai bisogni dei bambini … per trovare spazi e tempi adeguati  ai loro giochi  liberi individuali o di gruppo.

Proprio ieri   ho visto un  angolo-gioco estivo allestito in un piccolo cortile privato: piscinetta con acqua al sole abbinata a  casetta-gioco,  il tutto gestito con gioia da due cuginetti di 8 e 9 anni: è stato una gioia vederli organizzare la loro “casa delle vacanze”.

Di spazi per il gioco  se ne possono inventare tanti .. raccontatecene alcuni che conoscete e sapete che funzionano … in casa, all’aperto, a scuola, in montagna…

Le idee si possono copiare e i giochi moltiplicare!!!

MENSA…CHI CI SMENA?

Pubblicato: 21 giugno 2010 da lameladiodessa in SPAZIO MENSA
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Cos’è la mensa per i bambini? E’ tortura? E’ non poter mangiare quello che si vuole? E’ solo “alzare la voce”? E’ sentirsi ogni giorno obbligati a pranzare con persone antipatiche? Oppure è un’altra occasione per imparare a stare insieme? Un’occasione per imparare a mangiare con forchetta e coltello? Un’occasione per imparare ad assaggiare tutto (se va male sputo…)?

Cos’è la mensa per i docenti? E’ fatica? E’ una costrizione? E’ svilimento della propria professione? Oppure è un’occasione per mettere in pratica, ad esempio, i progetti asl per una corretta alimentazione? Un’occasione per PRATICARE BUONE PRATICHE d’insegnamento e di relazione? Un’occasione per inventare…?

Questo che segue è un breve capitolo di un libro  del pedagogista Riccardo Massa: “CAMBIARE LA SCUOLA: educare o istruire?”.

Un concetto particolare quello della “cura” che ha un’importanza estremamente significativa in rapporto alla “modernità” delle relazioni scolastiche.

Buona lettura!

“Si dice che educazione derivi da educere e che questo termine significherebbe aiutare qualcuno a «tirare fuori» qualcosa già pre­sente dentro di lui. Ma educazione deriva da educare, che vuoI di­re nutrire, allevare. Educere significa letteralmente, prima di esse­re declinato nell’ ambito di una metafora di tipo maieutico, «por­tare via» e portare oltre. Fare oltrepassare qualcosa, Non si tratta di civetterie etimologiche ma di una densità concettuale che deve essere restituita al nostro pensiero. In italiano la parola educazio­ne comprende entrambi questi significati, È in gioco una duplice matrice di senso. li concetto di educazione deve essere pensato ri­spetto a due ordini strutturali. Si tratterà di capire come si incro­cino e si incastrino tra loro. Tali strutture d’ordine corrispondono, più che alle dimensioni dell’educare e dell’istruire, a quelle del­l’allevare e del condurre. Gli psicoanalisti potrebbero dire che educare rientra nel codice materno mentre educere è sotto quello paterno. In ogni modo, è come suggerire che, per condurre via, bi­sogna prima accudire e nutrire; così come che, dopo essere stati accuditi e nutriti, occorra il venire portati via dal luogo della nu­trizione e della cura.

Se si risale all’ antichità, Platone nella Repubblica usa due ter­mini continuamente affiancati, trofè e paideia, che solitamente si traducono con «allevamento» e «educazione». Qui per educazio­ne si intende la «formazione» umana, mentre il concetto di alleva­mento corrisponde alle pratiche dell’ educare. Spesso quel secondo termine è tradotto con la parola «cultura», nel senso di ciò che può rendere l’uomo capace di assumere la forma che gli deve essere propria. Ma si potrebbe anche usare «istruzione», intesa come l’in- sieme degli insegnamenti che rendono possibile l’accesso alla ve­rità delle cose. Inoltre, al posto di «allevamento», si potrebbe tra­durre «cura», nel senso degli accudimenti fisici e morali verso chi cresce. Si giunge pertanto all’insieme di cura e cultura. Il concet­to di cura è importante per l’esperienza educativa. La cura sembra altra cosa, ed è infatti posta come istanza distinta, rispetto alla cul­tura. Anche se per coltivare un campo si deve avere cura di esso e per trasmettere cultura si deve coltivare – nel senso di averne cu­ra -l’animo dei bambini. In tutti i modi, l’educazione, nel suo si­gnificato originario, è strettamente legata all’ esperienza della cura. Non si può istruire qualcuno senza averne cura. Non si può adde­strare un animale senza nutrirlo e addomesticarlo. Se la potenza dell’ educazione è quella di far danzare gli orsi, come diceva Leib­niz, anche a questo scopo occorre prima renderli docili. Un’ar­cheologia del sapere pedagogico dovrebbe fare ancora i conti con la struttura del discorso platonico. Ma è lo stesso Platone a dire che per trasformare un bambino in guardiano utile alla città, pri­ma di istruirlo, occorre condurlo in uno spazio diverso da quello dell’ allevamento e della cura.

Tra l’educare e l’instruere si pone l’educere, come valenza fon­damentale presente nella duplice matrice di senso dell’idea di edu­cazione e come condizione strutturale delle pratiche di formazio­ne attraverso insegnamenti determinati. I significati originari sono dunque tre e sono quelli del prendersi cura, del portare via e del­l’insegnare. Non che tra questi significati vi sia pacificazione e con­tinuità, tutt’altro. Portare via significa anche rapire, strappare, se­parare, sedurre. Educere assomiglia molto a seducere, anche nel senso di sviare e portare fuori strada. Ma soprattutto, prima che condurre in un luogo appartato, può significare condurre all’ a­perto. Il gesto educativo è il gesto di chi porta nella radura, la radura dell’essere di cui parla Heidegger. Jean-Jacques porta via Émile sin dal momento della nascita. Qui l’altrove dell’ educazio­ne è il luogo stesso della nutrizione e della cura, in antitesi a quel­lo negativo della famiglia di origine. L’educere si contrappone all’educare sussumendolo in sé. E Socrate, in quanto educatore, è molto più corruttore che maieuta. 0, per lo meno, è in quanto og­getto di amore da parte dei giovani, anziché sedotto da essi, che può fungere da ostetrico e formato re.

Francesco De Bartolomeis
Rinnovare il sistema formativo

Il testo è l’elaborazione ulteriore di un saggio già compreso negli atti del 2° Convegno Cesp sul Tempo Pieno.

Il tempo pieno per ricerche e per sviluppi di rapporti interpersonali

La centralità della ricerca a scuola, nei laboratori, in strutture fuori della scuola portano necessariamente al tempo pieno. Non un tempo pieno che si configuri come prolungamento al pomeriggio dello strazio del mattino, cioè spiegazioni frontali, immobilità al posto di ascolto, assenza di rapporti e di comunicazione tra gli allievi, nessuna traccia di lavoro su problemi con i mezzi della ricerca.
È difendibile soltanto un tempo pieno come modello di rinnovamento che collochi il sistema formativo nella città che educa. Un modello da generalizzare che ha necessità di espandersi all’esterno per incontrare con modalità collaborative, con piani e strumenti di ricerca istituzioni, beni culturali e ambientali, servizi.
Sul tempo pieno si doveva fare un deciso passo avanti e invece al suo posto un surrogato che si fonda su una opzionalità illegittima. Le condizioni che rendono possibili un nuovo modello formativo portano a una inevitabile conclusione: il tempo pieno deve essere obbligatorio. All’estensione temporale si lega l’estensione spaziale delle attività: non solo aule e laboratori, ma luoghi esterni di varia natura per sviluppare ricerche sul campo.
Lo stare a scuola e svolgere attività di apprendimento sono cose diverse, e nella maggioranza dei casi la seconda manca. L’apprendere sicuramente richiede tra l’altro un tempo più lungo di quello dedicato alla sciagurata diade spiegazione-interrogazione che rimanda a casa l’apprendimento inevitabilmente di tipo tradizionale. Un tempo più lungo per fare ricerche, discutere, lavorare in gruppo, adoperare strumenti tecnologici, dedicarsi ad attività produttive, uscire dalla scuola per raggiungere realtà esterne da conoscere, documentare ecc. Per stabilire la durata del tempo scolastico occorrono idee chiare sulle cose da fare e su come farle. Risulta che il tempo pieno è necessario per l’apprendere e il produrre.
Il tempo pieno non è un limitato problema di organizzazione didattica; è una scelta sociale con strumenti capaci di agire, tra l’altro, sugli svantaggi e dare un senso nuovo al proseguimento degli studi e all’approdo professionale. Non meno centrale, per il decondizionamento precoce, è la cura del periodo 0-6 anni.
Il tempo pieno che usi mezzi e competenze per dare alla funzione formativa funzione sociale fa mutare la condizione culturale di persone svantaggiate, influisce su come vivono il presente e sulle loro prospettive per il futuro. Non basta una nuova didattica. È decisiva una nuova collocazione del sistema formativo nella organizzazione sociale e politica.
Alcune ragioni a sostegno di un tempo pieno come modello di una istituzione formativa nuova:

  • Il tempo pieno prima di essere una particolare invenzione didattica, frutto della pedagogia progressista, è nella vita di un allievo ordinario. Voglio dire: se a scuola non c’è il tempo pieno, sommando quello che l’allievo fa a scuola e quello che è costretto a fare a casa (i compiti) ne risulta un impegno orario che supera il tempo pieno. Quello che non si fa a scuola con la necessaria assistenza dell’insegnante (le varie attività di apprendimento) si fa a casa, di solito senza un aiuto, con interferenza grave a danno di altri interessi e di altre attività. Il tempo a casa viene invaso con contraddizioni e disagi. Proprio il tempo pieno può liberare tempo a favore di interessi e di attività che non riguardano la scuola e sono essenziali anche ai fini dello sviluppo culturale. In assenza di tempo pieno, acquistano un ruolo pesante i compiti a casa. Ma quanti studenti trovano a casa genitori disponibili e capaci di aiutarli e di controllarli?
  • Ristrutturazione del curricolo e conseguente distribuzione delle attività secondo tempi e successioni non artificiosi. Se si pratica la ricerca, se si entra in rapporto con realtà esterne, tempi e successione delle attività non possono essere scandite in base a una fissa unità oraria.
  • Necessità di combattere la tecnica del differire che nega alla scuola la funzione di luogo dove si apprendono conoscenze e abilità, ossia bisogna saldare insegnamento, apprendimento e valutazione. Quattro i collegamenti necessari del tempo pieno: ricerca, laboratori, espansione su realtà esterne, nuove tecnologie. Sono condizioni dell’apprendimento.
  • La specializzazione degli insegnanti già a livello di scuola dell’infanzia e di scuola primaria rafforza la diversificazione. La specializzazione di competenze e di attività professionali in ambito formativo favorisce anche la mobilità professionale, la possibilità di assumere compiti diversi dall’insegnamento all’interno del sistema formativo.
  • La tipologia e la qualità delle attività di tempo libero hanno una forte influenza nel caratterizzare i modi di vita. L’assenza del tempo pieno o il suo basso livello qualitativo è motivo di inquinamento del tempo libero, perché fa interferire con effetti di disturbo attività legate alla scuola con altre attività non meno necessarie. Quindi diversificazione educativa fuori della scuola e indipendente dalla scuola.
  • Non è un sovrappiù il rapporto con la bellezza. Quella che si incontra non solo nei musei ma anche nella vita ordinaria, nell’ambiente. Bellezza naturale, semplice, economica. La bellezza e la poesia nel senso più generale.
  • Particolare attenzione per quella che si chiamava cultura materiale, ma che ora si presenta, con fondata ambizione, come sociologia delle civiltà complesse. Le civiltà sono sempre complesse, e perciò per quanto l’attenzione sia localistica è inevitabile fare uscire la ricerca dai limiti del sistema considerato perché è collegato a sistemi progressivamente più ampi.
    Se si attivano ricerche, anche nei piccoli centri si incontrano importanti fatti storici che tolgono il piccolo dall’isolamento e lo collegano alla storia senza aggettivi. Una pieve, un castello, le abitazioni, le strade di comunicazione, le attività produttive offrono l’occasione di ampliare e di approfondire l’indagine. Ciò che definiamo “locale” ha sempre rapporti con eventi storici e attuali di aree molto vaste, ed è compenetrato dalle nuove tecnologie di informazione.
  • Non solo conoscenza ma attività di produzione. Con la produzione, nei laboratori scolastici e territoriali, la conoscenza si approfondisce, può scendere nei particolari, comprendere relazioni di parti e struttura dell’insieme. È necessaria l’interdisciplinarità. Le attività conoscitive e produttive riguardanti l’utilizzazione delle opportunità della “città educativa” devono essere previste dalla programmazione e dall’organizzazione come dettagliata offerta educativa.
    Le metodologie di ricerca hanno diversa fisionomia a seconda del settore a cui si applicano. Prima di essere metodo, la ricerca è modalità dell’apprendere e del produrre. La ricerca in relazione alle particolarità dei settori richiede la collaborazione programmata di esperti diversi dagli insegnanti di sezioni e di classi.
  • Il lavoro come attività produttiva e come studio del ruolo che ha nei mutamenti sociali. Quindi lavoro come tecnologia e cultura sociale e storica.
  • I propositi di innovazione, se organizzati in progetti, non hanno niente a che fare con la programmazione rituale. Da prevedere che gli insegnanti agiscano come gruppo e collaborino sia con professionisti della formazione con compiti non di insegnamento sia con esperti esterni. Mediante l’utilizzazione normale, ossia continuativa e sistematica di esperti esterni la scuola ha la possibilità di affacciarsi sulla innovazione culturale e di esserne stimolata.
  • Modalità di aggiornamento in rapporto a progetti di innovazione. Si è motivati nell’aggiornamento se serve ad acquisire conoscenze e abilità che anzitutto danno la sicurezza di essere migliori come persone e se ci sono le condizioni per servirsi di ciò che si è appreso per apportare mutamenti innovativi nel proprio lavoro che così si arricchisce di motivi gratificanti.
  • Il tempo pieno offre concrete opportunità per sviluppare programmi di recupero necessari per trattare ritardi culturali, difficoltà a collaborare, a inserirsi nel ritmo medio della classe. Niente che rassomigli al dopo scuola o a lezioni private. La dimensione dovrebbe essere quella del piccolo gruppo. Quando fu proposto il recupero ci fu una sollevazione generale. Le solite ottuse obiezioni: serie A e serie B, discriminazione e simili. In verità si volle sfuggire al compito di inventare il recupero. Non esiste un kit bello e pronto: bisogna prepararsi, mette a punto idee, sperimentare, perfezionare.
  • Uso di nuove tecnologie. Dalle macchine fotografiche e dalle videocamere digitali al computer e a una grande varietà di programmi informatici (Power Point, Pinnacle, Publisher, Photoshop ecc.). Le tecnologie devono contribuire a unificare insegnamento, apprendimento, valutazione
  • Documentazione multimediale in entrata e in uscita (libri, internet, video, cd) per progettare, svolgere attività, verificare.
  • Piani di educazione permanente hanno bisogno di basarsi sulla buona qualità del sistema formativo. Non provo neppure a elencare i principali problemi che impegnano il tempo di vita nella formazione fino a 22-24 anni. Dai problemi delle città sostenibili delle bambine e dei bambini si prosegue fino a incontrare l’orientamento scolastico e professionale, la cultura del lavoro, il disagio giovanile, la droga, alcol, fumo, dissipazione di potenzialità e conformismo (in non pochi casi dissipazione della vita), difficoltà di rapporto degli adulti con i giovani. La formazione permanente va al di là di compiti specificamente professionali.